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Trento, 25 ottobre 2007
60 ANNI DELLA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLA COSTITUZIONE
DELLA REPUBBLICA: PROMUOVERE LA CONOSCENZA E FAVORIRE
LA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE RELIGIOSA

Proposta di mozione presentata da Roberto Bombarda
consigliere provinciale dei Verdi e Democratici per L’Unione

Nel 2008 ricorreranno due importanti sessantesimi anniversari relativi ad eventi di livello internazionale e nazionale, l’adozione della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana. Sarà questa l’occasione per un’opera di doverosa promozione dei loro contenuti e per aprire una riflessione sulla loro applicazione, con un particolare riferimento per quanto riguarda il rispetto della libertà di espressione religiosa.

La Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 afferma (art. 1) che “tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e che questi diritti (art. 2) spettano ad ogni individuo “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere…”. All’articolo 7 afferma quindi che “tutti hanno diritto ad un’eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la dichiarazione…” ed all’articolo 18 che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. All’articolo 26 dichiara quindi che “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della Pace”.

La Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il primo gennaio 1948, afferma nei Principi fondamentali (art. 2) che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, ed all’articolo 3 che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”. L’articolo 8 afferma che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano…” Ancora in tema di libertà religiosa interviene l’articolo 19, affermando che “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Ed all’articolo 20: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di un’associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, ne’ di speciali gravami fiscali per la costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.

A sessant’anni dall’adozione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, probabilmente la “Carta” più importante mai votata nella storia, e dall’entrata in vigore della Costituzione, il principale documento della nostra Repubblica, è doveroso aprire una profonda riflessione su questi due testi, entrambi nati non a caso sulle macerie della più grande tragedia nella storia dell’umanità, sul loro recepimento e rispetto nella vita quotidiana delle persone e delle istituzioni. Una riflessione particolare va fatta anche sulla parte relativa alle discriminazioni in ambito religioso, che purtroppo permangono anche a livello della nostra regione, che tutti consideriamo essere aperta e rispettosa delle altrui libertà. Una regione che è indubitabilmente abitata da secoli – con i relativi visibilissimi segni – da una popolazione professante a larghissima maggioranza la fede cristiana cattolica ed è indubbio che la cultura ad essa associata ha contribuito in maniera determinante a forgiare la cultura ed il tessuto sociale di questo territorio.

Una regione che, specie negli ultimi anni, ha visto però crescere il numero dei fedeli di altre religioni, non sempre ben accette (per usare un eufemismo….). Anzi, si può affermare senza possibilità di smentita che in numerose occasioni abbiamo assistito con il silenzio delle istituzioni ad esternazioni e manifestazioni di tipo xenofobo che hanno violato apertamente gli “alti principi” richiamati in apertura e che costituiscono forse il risultato più alto mai raggiunto dalla nostra cultura istituzionale. Più alto ma, appunto, non sempre rispettato e fatto rispettare.

E questa “chiusura mentale” ha riguardato più le istituzioni laiche che non quelle religiose. Già nel 2001 è stato infatti costituito stabilmente, dopo essere nato spontaneamente qualche anno prima, il Tavolo locale delle Appartenenze religiose, un tavolo di incontro delle spiritualità, delle comunità, delle chiese presenti nella nostra regione. Come scritto nel libro “Una fede si raccolta – Storie, luoghi, persone in dialogo spirituale” edito dal Forum trentino per la Pace e per i Diritti Umani con il Tavolo Locale delle Appartenenze Religiose, esso “rappresenta una modalità di incontro e di lavoro tra appartenenti a fedi diverse che cercano di offrire una maggiore conoscenza delle diverse realtà religiose e una possibile collaborazione a livello locale, testimoniando una precisa volontà di dialogo a partire dalla realtà e dal contesto in cui vivono, mettendo al centro di questa esperienza i valori comuni che appartengono a tutti i credenti e a tutti gli uomini e donne di buona volontà”. Nel libro vengono illustrati gli aspetti centrali, le caratteristiche e le attività locali di: Induismo, Buddismo, Ebraismo, Cristianesimo (Ortodosso, Ortodosso Romeno e Serbo, Cattolico-Romano, Evangelico, Evangelico-Luterano, Veterocattolico), Islam e Baha’i.

Ciò di cui abbiamo bisogno è insomma di una serie di norme, scritte e comportamentali, che rendano di fatto liberi tutti gli abitanti della nostra regione di professare la loro religione in luoghi di culto dedicati. Così come è giusto che un cristiano possa professare la fede nel suo Dio in una chiesa a ciò dedicata, è altrettanto giusto e comprensibile riconoscere un uguale diritto a chi professa una fede diversa. E non è corretto richiamare un fantomatico “diritto di reciprocità” nei Paesi di origine degli immigrati rispetto alla religione cristiana per giustificare la negazione dei loro diritti fondamentali. Se autorità civili o religiose di altri Paesi impediscono ai credenti cristiani di professare in libertà e sicurezza la loro fede, questo è un problema serio da affrontare ai massimi livelli diplomatici ed istituzionali, ma non giustifica comportamenti simili da parte delle nostre istituzioni. Siano i nostri Paesi che riteniamo “moderni e civili” a dare in ogni caso il buon esempio. Del resto il parlamento delle religioni del mondo ha validato quella che è la “regola aurea” di tutte le religioni, ovvero: “Fai all’altro quello che vorresti fosse fatto a te stesso”. In questo caso, consenti a colui che professa una fede diversa dalla tua di fare quello che tu vorresti, cioè pregare il tuo Dio in un adeguato luogo di culto. Ovviamente non va chiesto allo Stato od alle Istituzioni locali di finanziare la costruzione dei luoghi di culto, ma quantomeno lo Stato e le Istituzioni locali non dovrebbero impedire, con vincoli di varia natura compresi quelli urbanistici, di erigere luoghi di culto a spese delle diverse comunità religiose, le quali si dovranno ovviamente autofinanziare attraverso contributi volontari dei propri fedeli o nei modi che riterranno più validi ed opportuni. Non ci sarebbe nulla da scandalizzarsi pertanto se nei prossimi anni il nostro territorio potesse ospitare una nuova sinagoga, una pagoda, un tempio od una moschea secondo gli stili architettonici tradizionali… sarebbe in ogni caso un segno di civiltà, di comprensione dei tempi e dei fenomeni in evoluzione, di rispetto per l’altrui credo, senza sminuire minimamente il valore ed il ruolo religioso e culturale, storico e tradizionale svolto dalla religione cristiana cattolica. Luoghi di culto ben evidenti ed alla luce del sole, anche come luoghi per favorire il dialogo, l’interazione e l’integrazione e per prevenire situazioni di disagio o di criminalità. In una regione civile, aperta al dialogo ed al confronto, una comunità religiosa non può ritrovarsi a pregare negli scantinati, nei capannoni o nelle palestre!

Tutto ciò premesso

il Consiglio impegna la Giunta provinciale

1. nel sessantesimo anniversario dall’adozione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana a proporre una serie di iniziative straordinarie per far conoscere a tutti i cittadini, ma in particolare agli studenti di ogni ordine e grado, questi due importanti documenti sui quali è basata la nostra civiltà;

2. nell’ambito del pieno riconoscimento dei diritti di libertà di espressione religiosa sanciti nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e della Costituzione della Repubblica Italiana a rimuovere tutti gli ostacoli, anche di tipo urbanistico, che impediscono alle comunità religiose di dotarsi di luoghi di culto aperti al pubblico adeguati a consentire ai propri fedeli di potersi esprimere nelle forme e nei modi previsti dalle rispettive religioni.

Cons. prov. dott. Roberto Bombarda

 

     

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